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" Non vuol dire mica lavorare in miniera 10 anni "

Uno sputo in un occhio. Ecco, l'unica reazione plausibile ad una provocazione del genere, a quelle parole così inutilmente e forzatamente serpentine, prodotte da una bocca che deve proprio stare solo che chiusa.
Tutto perchè ho detto di no a mia sorella, ad una 'data' propostami in quel di Gavi, il 13 di questo mese. Ho preferito rifiutare, logisticamente parlando, a nostro vantaggio: sarebbe stato un tour de force non indifferente, viaggiare, guidare, e la sera andare a suonare di nuovo, per poi ripartire presto il mattino dopo.
Ma no, questo non è di certo come lavorare in miniera, dovremmo essere solo che felici.
Ecco il nervoso impossessarsi di nuovo delle mie mani, ed ecco come unica soluzione sfogarmi sul computer, dato che quella là occupa il piano di sotto come ogni santo giorno. Basta, sono stanca di farmi sovrastare da vecchie isteriche, non possono reputarsi così nettamente superiori solo perchè con qualche anno in più.
Nemmeno con il mio gruppo posso fare come voglio. Non ricevo ordini solo da mia madre, ma pure dalle sue amiche.
Tentata di tornare giù e tirarle un bel 'Vaffanculo' su quel muso rigido, così da tornare a scrivere con un peso in meno, senz'altro.

Ascoltando a ripetizione " Uprising ", la nuova canzone dei Muse, e godendomi ogni nota come se fosse una pastiglia di Valium. Ormai vivo in funzione del 4 dicembre, lo so, lo dico da giorni, lo ammetto con un groppo alla gola. Però è così.
Ricordo a malapena la stessa data di 3 anni fa, a Milano. Senz'altro è stato indimenticabile, senz'altro le sensazioni che mi scorrevano in vena ancora mi tornano alla mente, ed ancora mi passa davanti agli occhi la bellissima scenografia alle loro spalle, il calore fastidioso ma comunque accogliente di chi era vicino a me. A dirla tutta quando sono uscita dal Dachforum l'unico pensiero che mi attraversava il cervello era: io non dimenticherò mai nulla di tutto questo, è tutto perfetto.
E non è stato così. Tre anni dopo, eccomi di nuovo con lo stesso entusiasmo di chi non è mai stato ad un concerto, con il biglietto fra le mani che quasi mi provoca le lacrime. Ancora, guardo il calendario e segno tante "X" vicino al giorno passato, tengo il conto alla rovescia, meno novantaquattro al fatidico 4 dicembre.
Ed è ironico, senz'altro, il fatto che la data sia esattamente la stessa di tre anni fa. Mi sento come un esploratore temporale che ha scoperto, dopo anni di studio, la famosa macchina per tornare indietro fino ad una data prestabilita.
Non credo che il giorno stesso sarà così. Non sarà nulla come nel 2006. Ci sarà Marco, sì, come allora, ma non saremo soltanto io e lui, con un incredibile rimorso per aver lasciato mio padre fuori da solo. Questa volta nessuno sarà solo, tutti saremo assieme.
Palaolimpico, Torino. Nemmeno il luogo è lo stesso.
Riesco a malapena a non pensare a quella data tutto il giorno. Sono fissata, forse. Sono troppo fissata. Ma ho qualcosa per cui vivere con gioia. Ho qualcosa da attendere: ho un obbiettivo. Ho una data da raggiungere: e dopo non so cosa accadrà. So solo che il 4 dicembre sarà un giorno magico, di nuovo.

Ecco un intervento pieno di ripetizioni, pieno di emozioni fondamentalmente troppo infantili per appartenere ad una ventenne. Ma ecco un intervento sincero.


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